A partire dal 03 novembre 2013 prende il via l’iniziativa denominata: Campagna di tutela dell’ossidiana.
Si tratta di una campagna di sensibilizzazione che il Museo dell’Ossidiana e l’Associazione culturale Menabò, attuale ente gestore del museo, hanno ideato per tutelare questa roccia speciale che tanta importanza ha avuto per le comunità che in epoca preistorica hanno popolato la nostra isola.
Ci si chiederà per quale motivo si senta la necessità di tutelare l’ossidiana mediante uno specifico intervento ad essa dedicato.
In effetti l’ossidiana è solo una roccia di origine vulcanica, come tante altre presenti nell’Isola.
Vulcanica come il porfido, il basalto, la trachite, il granito, per citare alcune delle rocce che caratterizzano diversi paesaggi della Sardegna. Tuttavia essa ha una caratteristica che la differenzia da tutte le altre rocce vulcaniche: l’ossidiana è un vetro, un autentico vetro naturale. I bambini durante le visite guidate spesso chiedono agli operatori: ma l’ossidiana è vetro-vetro?Insomma, come quello dei bicchieri, delle lenti degli occhiali, o che si monta alle finestre? Vetro-vetro, sì, rispondono gli operatori. Con la fondamentale differenza che quello dei bicchieri lo produce l’uomo, dentro le sue officine, l’ossidiana invece è prodotta direttamente dalla natura.
Con una precisazione però: questo non significa che dovunque esista un vulcano, spento o ancora attivo, si trovi sempre dell’ossidiana. Sono infatti percentualmente assai pochi i vulcani nel mondo che hanno generato il vetro vulcanico, poiché le condizioni perché l’ossidiana si formi sono il frutto di una speciale combinazione di fattori, la cui concomitanza non è facilmente realizzabile.
Una speciale combinazione di fattori concomitanti, abbiamo detto, è necessaria perché l’ossidiana si formi in presenza di lave vulcaniche.
Primo fattore: presenza di lave aventi una percentuale elevata di silice (SiO2), necessariamente superiore almeno al 63%.
Secondo fattore: presenza di lave aventi al contempo una percentuale al contrario molto molto ridotta di acqua (H2O), necessariamente inferiore al 2%.
Terzo fattore: esistenza di condizioni che determino un rapido, repentino raffreddamento della lava quando essa viene in contatto con la superficie e l’atmosfera terrestre.
E’ sufficiente che una di queste condizioni non si verifichi, perché la vetrificazione del fuso lavico non avvenga, e questo accade nella maggior parte dei casi.
Si pensi che in tutto il Mediterraneo centro-occidentale solo quattro vulcani hanno generato la speciale roccia vetrosa: il Monte Arci, in Sardegna, e i vulcani dell’isola di Lipari, dell’isola di Pantelleria e dell’isolotto di Palmarola, tutti in territorio italiano.
Ecco una delle ragioni che hanno portato alla ideazione di una Campagna di tutela: la limitatezza della risorsa, infatti, fa si che all’ossidiana si debba riconoscere un inestimabile valore e sempre la limitatezza della risorsa implica la necessità di riconoscere enormi potenzialità ai territori in cui essa è presente, Sardegna compresa.
Al contempo però questa potenzialità ci responsabilizza fortemente, poiché è affidata alla cura e alla sensibilità di noi tutti la tutela e la sopravvivenza nei contesti originari dell’unica ossidiana esistente sulle sponde del Mediterraneo che vanno dalla penisola balcanica allo Stretto di Gibilterra.
Ma non è solo la relativa rarità della roccia a rendere l’ossidiana meritevole di un’attenzione particolare e a richiedere una responsabile tutela della sua presenza nei contesti originari di formazione. Esiste una ulteriore e importante ragione per cui al vetro vulcanico è dedicata una speciale considerazione.
Conosciuta per il suo colore nero dalla suggestiva brillantezza (il più comune ma non l’unico che caratterizza questo vetro, le cui tonalità variano a comprendere il grigio, il rosso, il verde, il blu), per le sue superfici in alcuni casi straordinariamente lucenti, per i suoi differenti gradi di trasparenza e di rapporto con la luce trasmessa, l’ossidiana ha una caratteristica ulteriore: si presta assai efficacemente alle attività di scheggiatura.
Come un qualsiasi altro vetro, qualcuno sarà tentato di sottolineare …
In effetti è così: l’omogeneità strutturale (impariamo a chiamarla anche isotropia) delle materie vetrose in genere, ovvero l’essere costituite da atomi disaggregati, privi di un’ordinata organizzazione interna e dunque non imbrigliati in rigidi reticoli cristallini, rende le materie vetrose particolarmente rispondenti alle attività di scheggiatura e quindi all’ottenimento, tramite distacco di porzioni di materia da un blocco, di schegge dai margini taglienti.
In virtù della loro struttura omogenea, il tipo di frattura caratteristico delle rocce vetrose è detto concoidale. Tale modalità di distacco della materia ha la caratteristica di essere sufficientemente controllabile da parte dello scheggiatore che sia tecnicamente esperto. In tal modo gli è consentito l’ottenimento, con relativa facilità, di supporti (schegge o lame) di forma e di dimensioni predeterminate. L’ossidiana, quando la sua composizione si presenta omogenea e quindi si riscontra una totale assenza di inclusi cristallini al suo interno, offre un esempio eccellente di prevedibile risposta a una sollecitazione meccanica esterna: sottoposta a un procedimento di scheggiatura, attuato mediante un colpo o una pressione mirata esercitati sulle sue superfici, essa restituisce strumenti dai margini affilati, sufficientemente resistenti e dalla straordinaria efficacia e pulizia di taglio. Le comunità umane di epoca preistorica ne hanno scoperto le straordinarie potenzialità a partire dal Paleolitico. In Sardegna, tuttavia, le tracce di impiego e di attività di scheggiatura dell’ossidiana non si datano prima del Neolitico. Il territorio di Pau, ove sorge il Museo dell’ossidiana, ospita una tra le più estese e significative officine di lavorazione di epoca neolitica di tutto il Mediterraneo centro-occidentale, quella di Sennixeddu.
Tutelare l’ossidiana dunque, nel territorio di Pau ma non solo, significa riconoscere a questa roccia vetrosa non solo il valore di risorsa rara e non rinnovabile, bene culturale di pertinenza squisitamente geologica e ambientale, ma significa altresì riconoscere nella sua presenza sul Monte Arci la testimonianza materiale, e pertanto di inestimabile valore archeologico, dell’organizzazione economica e sociale delle comunità di epoca preistorica, delle loro competenze tecniche, delle principali attività svolte nel territorio e delle varie forme di controllo esercitate rispetto alle iniziative di scambio del prezioso vetro tagliente di Sardegna attivate con buona parte del Mediterraneo centro-occidentale.